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martedì 13 marzo 2018

Islam e Cristianesimo



I post in un blog mi obbligano ad una trattazione piuttosto generale, con tutti i limiti che questo può comportare. Si prendano, dunque, queste considerazioni come uno stimolo, piuttosto che come una trattazione esauriente. La settimana scorsa mi si è avvicinato un giovane studioso di origine iraniana. È una persona silenziosa, precisa, con un sorriso antico, piuttosto raro a trovarsi dalle nostre parti. Si è intrattenuto con me per raccontarmi le percezioni che lui, mussulmano sciita, prova quando entra nelle moschee del suo paese. Ha sottolineato che un edificio religioso è costruito per delle finalità ben precise, per imprimere nelle persone che vi entrano una particolare sensazione: l’interno di una moschea senza alcuna raffigurazione umana e con decori geometrici (al più con intrecci di foglie e fiori) spinge la mente di chi la osserva a pensare di essere a contatto con qualcosa che va totalmente oltre l’umano. L’architettura funzionale ad un’esperienza o a una semplice educazione religiosa è qualcosa che è stato totalmente perso dalle nostre parti ma che era tradizionale almeno fino ad un certo periodo. In Dio, secondo il giovane studioso persiano, non può che esserci questa trascendenza assoluta, per cui la solennità delle moschee del suo paese deve determinare, in chi vi entra, la sensazione di sentirsi quasi “schiacciare” da questa maestosità divina che riempie di meraviglia. 

C’è chi dice che cristiani e mussulmani adorano lo stesso Dio. In realtà, dalle parole di questo gentile giovane comprendo la notevole distanza esistente tra il Dio rivelato in Gesù Cristo e il Dio che lui mi fa intravvedere. L’affermazione di Cristo: “Non vi ho chiamati servi […] ma amici […]” (cfr. Gv 15, 15) indica chiaramente tutta questa differenza. 

Il Dio rivelato in Cristo sposa, senza confusione, la nostra umanità con la divinità ed è per questo che san Paolo lo può definire “mediatore tra cielo e terra”. Tutto questo è inaudito per il Credo mussulmano e per il credo ebraico. Per questo in queste due religioni il misticismo, seppur esiste, non è mai maggioritario e, in alcuni casi, è considerato eretico. Il misticismo, infatti, va nella direzione di una prossimità tra il divino e l’umano, prossimità che in Cristo si è fatta addirittura persona. Il fondamento reale del Cristianesimo, dunque, non è un insieme di dottrine, di disposizioni legali e religiose ma, come più volte ripetuto, un’esperienza di Grazia resa possibile da Cristo stesso. Affermare che Cristo è contemporaneamente Dio e uomo non ha alcun senso se non si accompagna con una reale percezione di qualcos’Altro. In caso contrario si ricade nella legge e, come direbbe l’Apostolo, si diviene servi. Una religiosità che confessa solo a parole l’umano-divinità di Cristo non serve a nulla. 

Per rendere comprensibile il mio discorso, mi è sembrato utile aggiungervi un piccolo schema con il quale si può ben capire in quale situazione viviamo. Ognuno, poi, tragga le sue considerazioni.


venerdì 9 marzo 2018

Ideologia o realismo cristiano?


Ho diverse volte trattato quest’argomento. Ci ritorno volentieri perché ne vale sempre la pena. Inoltre è una magnifica cartina da tornasole per verificare su quale piano si vive veramente il Cristianesimo. 

Quandero ventenne alcuni sacerdoti ponevano a me e ai miei coetanei la domanda seguente: “Chi è Cristo per te, per la tua vita?”. 
È una domanda fondamentale davanti alla quale ci trovavamo spaesati, disarmati e, d’altronde, questi sacerdoti non ci rispondevano, non ci aiutavano a trovare un modo convincente per rispondere. Forse sotto sotto non lo sapevano neppure loro ...

Nei vangeli Cristo afferma di essere la “via, la verità e la vita”. Lui stesso che è il Logos, la Parola incarnata di Dio, secondo la rivelazione, è in realtà la Vita. Le sue parole sono “parole di vita eterna” perché cariche della forza vivificante della sua presenza. È tale forza vivificante della presenza divina che viene sperimentata nella vita cristiana. Quando si parla tradizionalmente di “vita di grazia”, significa che il credente è abilitato ad entrare in un modo di esistenza che non è quello ordinario. Attraverso questo modo di esistenza i martiri hanno potuto testimoniare la loro fede fino alla morte, rafforzati e assicurati da un’energia non umana. Parlare di Cristianesimo, dunque, significa riferirsi ad un evento che nasce da un incontro, nella fede, con una Persona la quale lascia il segno di sé nei cuori che La cercano, in chi assume con cuore ben disposto i Sacramenti, in chi Lo confessa nella giusta fede: 

Credi nel Figlio delluomo?”. Quegli rispose: “Chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gesù gli disse: “Tu lhai già visto; è colui che parla con te, è lui”. Egli disse: “Signore, io credo”. E ladorò (Gv 9, 35-38). 

Di certo la presenza di Cristo nella Chiesa e nel cuore del credente è qualcosa di discreto, non di eclatante. Ciononostante è tale da farsi riconoscere e questo è un dato di fatto che ha sempre accompagnato la storia della Chiesa stessa. Se tutto ciò non viene messo al suo giusto e centrale posto, poiché Cristo è una persona, è la Vita che nutre realmente la nostra vita, tutto diviene una questione di idee. 

Nel momento in cui, per una ragione o un’altra, la cosiddetta Grazia si oscura e non opera più, tutta l’attenzione si sposta sul piano di idee giuste che devono contrapporsi e combattere idee sbagliate.

A quel punto abbiamo il paradosso di persone idealisticamente ortodosse ma esistenzialmente opposte al Cristianesimo, gente che combatte per principi morali (ad es. la famiglia cosiddetta "tradizionale") ma che nella vita privata fa l’esatto contrario
Oggi tutto ciò è così diffuso che parlare nei termini soprastanti risulta quasi incomprensibile quand’anche non ampiamente risibile. Lo si constata prima di tutto da parte dei cosiddetti “credenti”. Per essi è letteralmente oscura la distinzione tra idee cristiane e Cristo. Al contrario, nell’epoca patristica era ben evidente la differenza tra i “vuoti discorsi” e il Verbo. I primi, se non collegati al secondo con una prassi autentica non servono a nulla, rimangono vuoti, anche se sono perfettamente ortodossi. Questo spiega la straordinaria diffusione del monachesimo nei primi secoli, monachesimo che era orientato alla prassi e allesperienza cristiana, al quale si sottomettevano volentieri i Padri. 

Perciò per essi la lotta per la verità non era una lotta per dei discorsi ortodossi, da contrapporsi a discorsi eretici, non era una questione di parole. La lotta per la verità era la lotta per lasciare aperta la via che conduce ad una reale esperienza del Verbo, nella Grazia. I discorsi sono solo dei mezzi che orientano o ostacolano quest’esperienza, degli umili servitori. 

A dire il vero, la verità cristiana, nella sua essenza, non è una questione di semplici termini tant’è che soprattutto nei primi secoli il linguaggio teologico era sfumato e una stessa parola, che in Egitto significava una cosa, ad Antiochia ne significava un’altra. Questo linguaggio flou è poi stato considerato primitivo perché impreciso, dinnanzi alla grande scolastica e agli sviluppi seguenti della teologia. Chi emette tale giudizio mostra un'incapacità valutativa: non capisce che, nei primi secoli, ciò che importava era giungere all’obiettivo-Cristo. I discorsi erano semplici vie per giungervi. Il linguaggio umano non dava particolare ansia ai Padri, al punto che giunsero ad affinarlo solo dopo secoli sulla spinta delle eresie. Questo dimostra ampiamente che la loro preoccupazione era un’altra.

Da essi comprendiamo che i termini, per quanto importanti, sono relativi nel senso che sono sottomessi a favorire l’incontro nella Grazia con Cristo. Il monachesimo stesso per secoli è stato il custode non di un’intelligenza ma di una sapienza cristiana, prima di conformarsi in gran parte ad un appiattimento generale, ad una filosofizzazione e idealizzazione del Cristianesimo, in cui era imperiosamente importante l’intelligenza stessa

Con l’inizio dell’era moderna c’è stata un’ulteriore svolta determinata dal sospetto per la vita mistica e per la spiritualità (**). Così il Cristianesimo è stato sempre più presentato popolarmente come un insieme di idee da credersi per ricevere un premio nell’eternità. L’incontro personale nella Grazia, si è appiattito a semplice vita morale, esercizio di virtù.

Di qui la lotta per le “idee giuste” e per la “giusta” pratica morale. Dando per scontato e ponendo in ombra l’aspetto interiore della vita cristiana, il baricentro si è inevitabilmente spostato su un aspetto puramente ideale quindi esteriore.

E giungiamo ai giorni nostri in cui si crede che gli antichi martiri cristiani sono morti per delle “idee giuste” senza avvedersi che, così pensando, non esiste più alcuna differenza tra il Cristianesimo e un partito politico (*). 

Nel solo novecento quante persone sono morte per delle “giuste idee” politiche, di destra o di sinistra? A questo punto il Cristianesimo viene fagocitato nell’idealismo e diviene una delle tante opzioni della storia.

Se poi all’idealismo si aggiunge pure lo psicologismo (con il popolare detto “è giusta la scelta che ci fa stare bene con noi stessi”), allora la frittata è fatta nel senso che si ha finito per annullare totalmente la rivelazione cristiana. 

Con l’idealismo ci si stacca senza avvedersene dall’esperienza nella Grazia e si riduce tutto ad una questione di idee. Con lo psicologismo ci si stacca pure dalle idee per approvare quanto ci fa stare psicologicamente bene (morale o meno che sia) dimenticando che lo stesso san Paolo trattava duramente e teneva in schiavitù il proprio corpo (1 Cor 9, 27). Si passa, così, da una oggettività ideale ma astratta (perché tende ad accantonare l’esperienza umana in Cristo) ad una soggettività psicologicamente reale.

L’idealismo e il moralismo sono uno stadio che contraddistingue diversi cosiddetti “tradizionalisti cattolici”, lo psicologismo è lo stadio che contraddistingue i cosiddetti “progressisti cattolici”. Posizioni che, come vediamo, sono entrambe in discesa, seppur ad un livello differente. 

Il Cristianesimo, in realtà, è ben altro!

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(*) Su un blog tradizionalista cattolico, "Opportune importune", il responsabile, un improbabilissimo chierico ottuagenario con lo pseudonimo di Baronio, se ne esce dicendo che i martiri cristiani sono morti per delle idee cristiane, a differenza dei modernisti che non si sacrificherebbero di certo per le loro idee eretiche. Nessuno di chi legge ha il coraggio o la capacità di confutare tale enorme corbelleria.

(**) Ho più volte accennato a questo sospetto con il quale si tollera la spiritualità che, in ambiente clericale, tende ad essere vista come qualcosa di femmineo, di debole e risibile, non come qualcosa di realmente serio (come può essere per essi la riflessione filosofico-accademica sul fatto religioso). Inoltre, per tali ambienti la pratica spirituale è ritenuta qualcosa di soggettivo, qualcosa sul quale non si può assolutamente fondare l'unità della Chiesa (basata, per loro, su unici criteri oggettivi di espressione dogmatica e canonica). 
Al contrario, la pietra di fondamento della Chiesa, stabilita dalla confessione di Pietro, è basata sulla fede non quale espressione intellettuale (ai tempi di Cristo si era ben prima della cultura illuministica, rinascimentale e razionalistica) ma quale espressione di profonda adesione vitale-esperienziale alla persona di Cristo stesso.
L'unità che Cristo promette ai suoi discepoli non è un prodotto codificato dal diritto canonico o da una filosofia con presupposti teologici ma procede direttamente dall'unione con Lui ed Egli la predicò e dimostrò ben prima dell'avvento dei diritti canonici e degli affinati concetti teologici.
È incredibile come questi discorsi siano tutt'altro che comprensibili e, d'altronde, questo prova la totale lontananza di molte strutture ecclesiastiche attuali dalla Chiesa del Nuovo Testamento stabilita da Cristo.