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lunedì 18 gennaio 2016

La tradizione cristiana, la vita mistica, la sapienza, il simbolismo.

"I monaci sono come i fari nella notte. Senza fari le navi si scontrerebbero sugli scogli" (San Paisios l'Atonita)

Un blog non è mai la sede ideale nella quale dipanare approfonditamente certi temi del Cristianesimo poiché si rischia sempre di essere sommari, generalizzanti, lasciando in secondo piano elementi che non possono essere trascurati. Conscio di questo limite nel quale io stesso potrei cadere, cerco di affrontare nel modo più comprensibile possibile quanto ho espresso nel titolo di questo post (*).

La tradizione cristiana

Il termine “tradizione” è fondamentale. Nell'ambito del Cristianesimo si riferisce ad un insegnamento trasmesso da Cristo agli apostoli (la cosiddetta “Tradizione” con la “T” maiuscola) e da disposizioni ecclesiastiche stabilite nel tempo (la cosiddetta “tradizione” con la “t” minuscola). Non tutto quanto è stato scritto nei Vangeli appartiene al tesoro dell'insegnamento cristiano, poiché se tutto fosse stato scritto non ci sarebbero stati libri a sufficienza per poterlo contenere. La tradizione è, allora, tutto un bagaglio di insegnamenti provenienti da Cristo e dalla Chiesa con i quali non solo si impara a leggere le Scritture ma ci si orienta a seguire Cristo stesso. Tra Tradizione e tradizioni intercorre un intimo rapporto poiché una è per le altre e tutte concorrono all'edificazione del cristiano. Prima di toccare le tradizioni ecclesiastiche, bisogna sinceramente chiedersi se, con ciò, non si intacca la stessa Tradizione, domanda, questa, che nel nostro ambito quasi nessuno si pone.
Detto ciò, bisogna immediatamente chiarire una cosa. La tradizione e la Rivelazione non sono una semplice “lezione di vita”, una descrizione razionale di “diritti e doveri” dell'uomo dinnanzi a Dio, un semplice elenco di cose da credere per fede per ricevere, un giorno, la ricompensa del Paradiso, un esempio di vita morale. Non sono neppure l'espressione “logica” di una filosofia contro l' illogicità di chi vive contro il vangelo. Nei secoli la Rivelazione e la tradizione che la veicola sono state progressivamente ridotte a ciò perché lentamente è stata persa la prospettiva realmente soprannaturale nella quale è stato espresso il messaggio evangelico. Ridurre la fede nei confini della sola ragione, come fece Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) è indice del cammino religioso della cultura europea occidentale. È inutile dire che Heghel ha sbagliato filosofizzando il Cristianesimo, se non si ha l'onestà sufficiente per accorgersi che, ben prima di lui, nello stesso ambito ecclesiastico sono stati posti tutti i presupposti perché ciò avvenisse.
Ora, che il Cristianesimo si serva di parole e concetti di tipo filosofico per poter comunicare un messaggio, è appurato al punto che, se non lo facesse, non potrebbe comunicarlo. Ma il messaggio, è bene evidenziarlo, non è solo umano ma divino-umano e, per essere realmente compreso, è necessario che la persona si raffini spiritualmente, passi da conversione a conversione, si purifichi e si illumini, per usare dei termini cari all'ascetica cristiana. Se la tradizione cristiana è retaggio di una comprensione unicamente o prevalentemente razionale, si ha l'illusione che, usciti da uno studio approfondito su di essa, se ne possa sapere tutto. Questo è un mito ma è esattamente su questo mito che si fondano gran parte delle scuole di teologia che ci circondano nelle quali prevale un sapere teologico di tipo razionale. La razionalità non è qualcosa della quale dobbiamo disfarci, bene inteso, ma ha un campo di applicazione: le realtà create (il mondo che ci circonda). Applicata alle realtà create, la razionalità crea le cosiddette scienze e il sapere scientifico. Il sapere teologico non può mai essere definito “scienza” proprio perché non si applica alle semplici realtà create ma a realtà increate (il mondo divino) e a realtà create trasformate da quelle increate (la divinizzazione per grazia dell'uomo da parte di Dio). Una teologia rispettosa del mistero divino non fa il discrimine “scientifico-filosofico” di ogni azione divina perché è impotente a soppesare razionalmente Dio. Una teologia rispettosa è “descrittiva”, racconta cosa avviene, lo registra, come può fare un chimico esaminando una reazione in laboratorio, ma non è in grado di farne una descrizione scientifica e analitica, tanto meno filosofica. Cercare una dimostrazione razionale nella Monotriade divina, significa fare un buco nell'acqua perché per la razionalità umana uno non sarà mai tre, l'unità non sarà mai la pluralità. Le stesse distinzioni di "persone" divine in un solo "essere" (o sostanza) divina, non è una spiegazione razionale ma la descrizione, in termini filosofici, della rivelazione divina. L'errore è partire da questi termini filosofici per credere di penetrare con l'intelletto umano su quanto è e rimane impenetrabile!
A tutt'oggi, per fortuna!, nessuno si è arrischiato a spiegare scientificamente i miracoli. Forse lo scienziato ateo ha cercato di negarli, adducendo delle teorie, ma nessuno ha spiegato scientificamente come il miracolo avviene e perché.
L'atteggiamento dinnanzi ai miracoli, dovrebbe essere un atteggiamento da assumere per ogni realtà soprannaturale cristiana. Di conseguenza, la tradizione non è la descrizione scientifica e rigorosa degli insegnamenti di Cristo con i quali capire razionalmente i “misteri” della vita trinitaria e della rivelazione cristiana. La tradizione è la trasmissione di un insegnamento a cui credere per fede e che, in determinate condizioni, è possibile sperimentare. Il fine della tradizione, medesimo a quello della rivelazione che serve, è la trasformazione dell'umano nel divino, non la creazione di accademie e di infiniti (e spesso inutili perché unicamente mondani) ponti razionali tra cultura e fede.

La vita mistica

Se la tradizione ci introduce in una sorta di “sperimentalismo cristiano” è da qui che prende avvio quella che chiamo “vita mistica”. La “vita mistica”, come lo stesso concetto di tradizione, può essere soggetta a distorsioni e cattive comprensioni. In realtà, non è altro che una vita “nascosta” in Cristo. Il mistico cristiano non è altro se non chi vive realmente e a livello intenso il Cristianesimo. Nell'alto medioevo la mistica cristiana si è conservata nei monasteri, un po' come oggi stesso nell'Oriente bizantino, al punto che mistico è sinonimo di monaco. Si è visto qualcosa del genere con i fondatori dei carmelitani scalzi, in piena età controriformista.
Per una strana sorte, tutto il mondo mistico del Cristianesimo è sempre stato rappresentato come qualcosa di astruso, astratto, bello ma eccessivo, non adatto al popolo e al suo insegnamento. Così, la mistica cristiana è stata di fatto confinata dal grande ambito del Cristianesimo, lasciata, al più, a chi si riteneva essere "più bravo" ma che per la sensibilità comune era oramai valutato solo come eccentrico. Non a caso tutta l'impostazione carismatica bizantina (che affonda qui le sue radici) è valutata con sospetto, come segno di eccentricità e di poco realismo cristiano.
Il confino della mistica cristiana, nasce soprattutto dalla cattiva fede di chi, in ambito accademico, ha la presunzione di poter esaurire il Cristianesimo in ambiti scientifici e filosofici! La mistica cristiana è lì, silenziosa, a ricordare che Dio è ineffabile, inesprimibile ma pur sempre sperimentabile nella sua grazia. L'ineffabilità divina non può che relativizzare tutti i tentativi tronfi dell'uomo di poter “ingabbiare” il Cristianesimo in ambiti logico-razionali. Il misticismo non è contro la razionalità ma totalmente al di sopra di essa: l'uomo reso Cristo sa benissimo che la sua comprensione naturale precedente non è che ombra, anche se fosse religiosissima.
Faccio appello a Teresa d'Avila, per non scomodare i santi bizantini che creerebbero allergia in chi si sente  più papalino del papa e non capisce la profondità di certi discorsi. Ebbene, costei da un certo momento in poi parla di un “secondo battesimo” per indicare che la sua vita precedente, pur essendo religiosa era animata da una conoscenza spirituale umbratile, insufficiente, penosamente carente. Tanto il filosofo si riempie di parole e viene tentato di afferrare l'invisibile con il suo intelletto, tanto il mistico tace, si ferma alle porte del mistero, comprende che non è il cervello ad essere importante per Cristo ma il cuore. Questo non per impotenza divina (sarebbe bestemmiare!) ma per struttura umana: il cervello ha la rappresentazione fantasmatica del reale sotto forma di idee, il cuore ha l'intuizione diretta della realtà. Gli asceti antichi, infatti, dicevano che il demonio può ingannare la mente che crea i suoi idoli ma Dio parla al cuore.
D'altronde se il cervello fosse stato importante, Cristo avrebbe cercato i suoi discepoli nelle scuole rabbiniche, tra i saggi del tempio, non tra i poveri e ignoranti pescatori! “La scienza gonfia”, hanno sempre ripetuto i padri della Chiesa per i quali era fondamentale il percorso monastico, ossia mistico. Non a caso i nomi più significativi tra essi, finite le accademie del loro tempo, si immersero nella vita monastica. Questo, è bene ricordarlo!, è completamente smarrito nel nostro tempo in cui gli stessi monasteri occidentali hanno ben poco del monachesimo antico. Con quali armi, dunque, affronteremo la scristianizzazione attuale, se, deprezzato il monachesimo e la via mistica, ci muoviamo con le armi spuntate della sola razionalità?

La sapienza

Il Cristianesimo, infatti, non è una lezione filosofica e razionale ma l'espressione di una sapienza nascosta nei secoli (cfr. 1 Cor 2, 7). La sapienza per definizione non può essere afferrata compiutamente dalla razionalità perché pare ad essa illogica, sfuggente, ambigua, contraddittoria. La sapienza, rettamente intesa, si appoggia sull'esperienza del divino. La razionalità, al contrario, agisce solo sul campo umano. Sono campi ben distinti. Cristo, perciò, è molto più simile ad un Sophòs che ad un esempio morale e ad un maestro di vita. Eppure, anche negli ambiti più tradizionali del Cristianesimo occidentale, tutto ciò non è affatto chiaro. Ad inquinare le acque ci sono secoli di interpretazioni culturali che hanno trasformato la sapienza cristiana in un semplice insegnamento umano, filosofico, morale, sganciandolo sempre più progressivamente dallo “sperimentalismo cristiano” dei mistici. Non meraviglia che le correnti più progressiste del Cristianesimo occidentale si siano spinte a “demitizzare” il vangelo, ritenendo i fatti soprannaturali in esso narrati dei puri miti, dei modi di dire. Ancor oggi trovo una sottile ma reale unione tra i cosiddetti tradizionalisti e i progressisti cattolici, unione data da un approccio di tipo troppo razionale che finisce, in definitiva, per sminuire e snervare l'importanza del mistero divino nella vita cristiana. Entrambi hanno la tentazione di porre al centro di tutto non Dio, come dovrebbe essere, ma loro stessi, non l'azione divina ma la loro umanissima interpretazione.
Rivalutare la Rivelazione nei termini sapienziali riporta il tutto nei giusti equilibri ed obbliga ad una comunicazione sempre meno discorsiva e sempre più simbolica.

Il simbolismo

Ne ho parlato diffusamente nel mio blog. Di simboli è piena la nostra stessa vita, anche se li diamo per scontati e non ce ne rendiamo conto. La tendenza attuale, viceversa, è quella di spogliare il Cristianesimo dei suoi simboli tradizionali con il risultato che lo rendiamo inespressivo. Il simbolo può giustamente non essere compreso dal punto di vista razionale ma con ciò non può non essere vissuto. 
Faccio un esempio. Nel giubileo indetto dal presente papa, è stata creata una “porta santa” in un ambiente carcerario. La stampa lo ha generalmente riferito senza specificare che la porta doveva introdurre in una chiesa. Il messaggio è chiaro dal punto di vista vitale, anche se può non essere razionalmente compreso: si associerà al termine “santo” un luogo di sofferenza e di detenzione, un luogo in cui si bestemmia Dio, non un luogo in cui si eleva l'animo e si benedice Cristo. La "porta santa" se non introduce in una chiesa ma in un luogo prettamente laico (i chierici attuali, si sà, hanno una certa allergia al sacro!) è la realizzazione concreta di un simbolo ambiguo o addirittura rovesciato che imprimerà un profondo messaggio negativo nella coscienza delle persone, molto più  di mille discorsi.
Faccio un altro esempio. Razionalmente parlando è incomprensibile il bisogno di fare sulle oblate della Messa latina tradizionale tre segni di croce, in luogo di uno. Giustamente, abbandonando la chiave  di lettura simbolica, la ripetizione di segni e simboli è stata vista come atto superstizioso e magico fino ad essere valutata da qualche psicoanalista come possibile segno di patologia psichica. Così, con il prevalere della lettura razionalista, anche il simbolo è cambiato: i tre segni di croce sono stati aboliti e praticamente nessuno ne ha sentito la mancanza.
Se sfugge il fatto elementare che la comprensione razionale non coincide con la sapienza e con lo sperimentalismo cristiano (i misteri li vivo anche se non li capisco) si finirà inevitabilmente per depauperare all'inverosimile il Cristianesimo  esponendolo ad ogni genere di riforme soggettive sempre più umilianti, come di fatto è accaduto nell'Occidente europeo. 
Il mondo simbolico di una liturgia tradizionale può essere disposto (ma non stravolto né rifondato da zero) solo da un'anima illuminata, da chi è giunto ad un certo livello di comprensione spirituale nella grazia di Dio. Tutti gli altri sono chiamati a rispettare questa disposizione fino al giorno in cui, giunti ad un medesimo livello di illuminazione, saranno in grado di farvi dei ritocchi, tenuto pure conto di nuove esigenze storiche. Analogamente, solo una guida alpina con esperienza può condurre altri in impervi percorsi montani, non chi ha studiato i percorsi stessi sulla sola carta e ha ricevuto, perciò, delle onorificenze accademiche. Non basta essere arcivescovo, metropolita o papa per riformare il Cristianesimo, ossia per purificare la prassi cristiana: bisogna essere santi ma non santi formali, santi mistici in senso profondo, in senso antico! (**) 
I santi autentici, con il tempo, sono riconosciuti da tutta la Chiesa perché si pongono sulla linea della Rivelazione e ne incrementano il significato, non lo sminuiscono, deviando il cammino in direzioni troppo accomodanti e umanistiche, come potrebbero fare dei santi apparenti. Da santi autentici nasce un autentico rinnovo della vita cristiana, cosa impossibile agli altri.

Purtroppo quale "riforma" del Cristianesimo occidentale si è mossa da questa prospettiva "carismatica"? Le ultime, soprattutto, hanno tale taglio "carismatico"? Mi pare di poter rispondere negativamente! Chi cambia disposizioni, liturgie, prassi, lo fa obbedendo a criteri quasi esclusivamente razionali e disciplinari, senza dimostrare di essere giunto a livelli di illuminazione cristiana e senza necessariamente spingere i cristiani in quella direzione. È perfettamente logico, dunque, che con queste disposizioni chi ci rimette le penne è la stessa pietà che finisce quasi per scomparire. I cristiani soggetti a tali riforme disprezzeranno logicamente e inevitabilmente lo stesso mondo simbolico tradizionale con la foga con cui un ignorante potrebbe disprezzare l'ermetismo di una poesia di grande livello. Ecco spiegato l'iconoclasmo in gran parte dell'arte sacra e della liturgia occidentale.

Conclusione

Non saper descrivere convenientemente tutti questi temi in senso cristiano (tradizione, vita mistica, sapienza, simbolismo) da chi ne usa con fini non cristiani o stranamente crederli scontati quando, non solo non lo sono affatto, ma vengono ovunque combattutti, è indice di una compiuta lontananza dalle basi essenziali del Cristianesimo. Non è questione di semplici dettagli o di una “spiritualità” differente e, alla fine, equivalente ad altre; è questione di essenzialità! È stata semplicemente smarrita la via del cuore equivocandola con la via della razionalità. E i frutti si vedono, purtroppo ...


© Traditio Liturgica
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(*) Questo post nasce dall'esigenza di rispondere a chi, contrapponendosi a gnosi e dottrine esoteriche, tende ad avere una lettura esclusivamente razionalistica e filosofica del Cristianesimo (vedi qui). Questa lettura è una forte tentazione anche in ambiti cosiddetti "tradizionalisti" del Cattolicesimo nel quale, di fatto, ha ben poco senso la cosiddetta "vita mistica" rispetto alla filosofia (tomista) e ad una visione moralistico-legale.

(**) Un altro "punctum dolens" molto affliggente è l'odierno concetto di santità sempre più "a buon mercato", in cui basta essere dei semplici "buoni uomini" per essere considerati santi. Questo tipo di bontà puramente umanistica prevale, in Occidente, ma non è sufficiente per dichiarare realmente santo un cristiano. Ancora di più sfugge il profilo autenticamente mistico della vita cristiana!