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Messa nell'abbazia tradizionale del Barroux. Si noti il crocefisso d'ispirazione romanica. |
Spesso, scorrendo il web,
capita di osservare non poche imprecisioni sul modo in cui viene
valutata la liturgia cristiana e questo pure in chi dichiara d'avere
una sensibilità tradizionale. La liturgia eucaristica, comunemente
definita con il termine latino di "messa", risente più di
tutto di queste imprecisioni, in parte ereditate dalla storia.
I siti tradizionalisti
cattolici partono dall'idea tutt'altro che scontata che, nel periodo
postridentino, si raggiunse l'apogeo dell'ortodossia e che quel
periodo, dunque, dev'essere assolutamente recuperato così come stava
anche al giorno d'oggi.
Nel campo cattolico
opposto, troviamo i cosiddetti "novatores", ossia i
promotori delle innovazioni (liturgiche ma anche ecclesiastiche in
senso ampio) i quali odiano visceralmente il periodo tridentino e
tutte le sue manifestazioni. Il vice-rettore di un seminario
friulano, anni fa, non aveva problemi ad esternare questa sua
antipatia insegnando ai suoi sottoposti che il santo
controriformistico Pio V è, in realtà, un santo per modo di dire.
Il campo cattolico è
così diviso che se uno studioso tenta di portare altre idee o verrà
qualificato come "protestante" dai conservatori e
tridentini o verrà qualificato come "tridentino" dai
progressisti.
In realtà, questa è una
malattia degli animi che, lungi dall'attenuarsi, si sta esacerbando
sempre più con il rischio, oramai non più così lontano, di
spaccare il Cattolicesimo in due differenti confessioni. I tentativi
di Benedetto XVI di porre pace tra le due fazioni è, infatti,
chiaramente fallito.
La realtà, come al
solito, è molto più complessa e rifugge dagli schematismi
dicotomici con cui le menti grossolane vorrebbero sintetizzarla.
Farò un breve excursus
sulla Messa e su come essa è valutata, per qualche suo aspetto che
risulta essere alquanto interessante. Dato lo stile del blog mi
limiterò a procedere per brevi flash. Gli approfondimenti li
lascio ad altre sedi.
La liturgia eucaristica è
stata oggetto lungo i secoli di molti commentari, di catechesi e di
trattati teologici. In tutte queste opere si possono ritrovare dei
tratti comuni ma anche accentuazioni particolari, proprie a questo o
quell'autore.
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La Madonna dalle sette spade (o dai sette dolori);
un non senso dal punto di vista bizantino che però
è penetrato nell'ortodossia slava. |
Quello che determina un
nuovo ambiente e di cui è assolutamente importante tenere conto
è un nuovo fatto che marcherà in modo profondo tutti i secoli a
venire nell'Occidente cristiano: la devozione alle sofferenze di
Cristo. Questo tipo di devozione compare per la prima volta in
Bernardo di Chiaravalle ma diviene popolare solo a partire da
Francesco d'Assisi. Esso coinvolgerà la mentalità e la cultura. In
ambito prettamente artistico, la rappresentazione della crocefissione
assumerà sempre più gli aspetti di un profondo dramma. In epoca
romanica, al contrario, Cristo in croce è rappresentato come il
Cristo Re (regnavit a ligno Deus), che, avendo già sconfitto
la morte, riposa palcidamente sul legno sul quale è stato appeso.
Quest'ultima è una
prospettiva che riscontriamo sia iconograficamente sia
letterariamente nel mondo bizantino: i canti del sabato santo con cui
si piange la morte e la deposizione di Cristo (Engòmia) non
s'intrattengono affatto sui patimenti e sulle piaghe del Cristo morto
e, anzi!, sono diverse volte illuminati dalla luce della prossima
resurrezione.
Questa nuova sensibilità
che definiremo propriamente "doloristica" (1) fa da
spartiacque e influenza inevitabilmente anche il modo in cui ci si
accosta alla Messa.
Bisogna precisare che,
precedentemente, i commentatori ecclesiastici sia occidentali che
orientali riferiscono alla Messa il concetto di sacrificio e di morte
salvifica, come si farà poi, ma senza quell'accentuazione e
quell'esclusività che caratterizza, ad esempio, il periodo barocco.
Isidoro di Siviglia (VI
sec.), parlando della liturgia eucaristica, dice chiaramente che in
essa ci si riferisce al sacrificio sulla croce di Cristo ma aggiunge
che essa è la partecipazione alla cena del Signore del Giovedì
santo. Gli autori bizantini – ad esempio san Massimo il Confessore
(VII sec.) – pongono sullo stesso piano sia il sacrificio di Cristo
redentore che gli eventi successivi e inalienabili da esso: la
resurrezione e l'effusione dello Spirito santo. Soprattutto la
prospettiva orientale (che, lo ribadiamo, appartiene a tutti gli
effetti alla Chiesa e non è una prospettiva esotica o marginale)
vede nella Messa la sintesi di tutta la storia della salvezza. Questa
visione olistica è tipica della mentalità bizantina, mentre
l'Occidente ha sempre dimostrato d'avere una mentalità più
frammentaria.
Infatti, la stessa
istituzione della festa della Trinità, non ha senso in Oriente dove,
per quanto si siano tenute le discussioni teologiche trinitarie, la
liturgia rappresenta sempre e costantemente una celebrazione
trinitaria. In Occidente, al contrario, si sente il bisogno di
ricordarlo e questo indica effettivamente un modo differente di
procedere nel considerare la fede cristiana.
È forse questa mentalità
più frammentaria e meno olistica che alla fine ha determinato la
polarizzazione su alcuni elementi della fede a scapito di altri. Lo
notiamo nel cammino storico della liturgia occidentale.
La liturgia latina del XV
secolo conosce le interpretazioni allegoriche. Spesso anche ogni
elemento architettonico della chiesa assume una valenza
doloristica: ad es. l'altare ha tre gradini perché ogni gradino di
esso ricorda le cadute di Cristo lungo la via dolorosa del Calvario.
La fioritura allegorica
giunse ad avere una grande espansione immaginifica (se non proprio
fantasiosa) fino al momento in cui, nel XVI secolo, Martin Lutero,
finì per buttar via il cosiddetto "bambino con l'acqua sporca":
la liturgia luterana non è più il sacrificio di Cristo ma la
semplice sua cena e il tempio dev'essere spogliato da ogni elemento
che d'ora in poi sarà visto contrario al puro vangelo.
Ciò che con Isidoro
doveva rimanere indissociabile viene dissociato.
In ambito cattolico, per
reazione, si rifiutò il significato di Cena e si rimarcò in modo
pesante il significato di sacrificio: la messa è il rinnovarsi dello
stesso sacrificio con cui Cristo è morto in croce per il bene di
tutta la Chiesa. In quest'ultima visione gli altri elementi della
storia salvifica (la Resurrezione e la Pentecoste) vanno
immediatamente in secondo piano e paiono sfuggire alla pia attenzione
del fedele, tutto preso a partecipare meglio che può al sacrificio
eucaristico.
A
questo fedele è dunque richiesto di unire al sacrificio
eucaristico i propri sacrifici. Qui non è solo una visione pia e
modesta che s'impone ma una visione sempre più penitente e
umbratile, la tipica visione che fa da sfondo alla maggioranza dei
quadri barocchi in cui vivide tinte si stagliano da sfondi tenebrosi.
Sì, bisogna confessare
onestamente che siamo davanti ad un eccesso e ad una polarizzazione
che potrebbe, in alcuni casi, avere qualcosa di nevrotico. Qualche
post fa, infatti, ho commentato un quadro che rappresenta la prima
comunione di alcune comunicande ottocentesche che infonde una certa
impressione per il suo enorme impatto psicologico, segno di una religiosità vissuta con grande emotività.
La modestia e il rispetto
del sacro, in questo contesto, sembrano non tollerare la serena
fiducia nel fatto che Cristo ha vinto la morte e che con la sua
resurrezione ha illuminato già da ora la nostra storia umana. Qui,
al contrario, pare imporsi un certo pessimismo antropologico di tipo
agostiniano.
Come ogni eccesso, anche
questo o prima o poi doveva generare il suo opposto: la riforma
liturgica cattolica dopo il Concilio Vaticano II ha voluto
sottolineare che la Messa è una festa domenicale, non un momento di
musoneria o di penitenza. La conseguenza è stata quella di rifiutare
anche il più elementare senso di sacro, che fino ad allora era visto
con paura e soggezione.
Queste brevi analisi ci
suggeriscono che un semplice recupero delle cose "come stavano"
non è garante di un successo e di un equilibrio nel dominio della
liturgia occidentale. Si tratta di fare un processo di recupero a
livello profondo, con una mentalità olistica, una pietà equilibrata
e un profondo senso di sacro al quale non si associ il terrorismo
spirituale di chi predica la sottomissione sotto pena di scomuniche e
peccato mortale (2). È un cammino lungo che, semmai verrà intrapreso, potrà aver successo molto tempo dopo la nostra stessa
morte. Speriamo che i nostri discendenti ne possano trarre
giovamento!
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(1) La
devozione alle sofferenze di Cristo determina anche un fenomeno
parallelo a quello con cui si considera la Messa prima di tutto e
soprattutto come rinnovamento del Sacrificio di Cristo: il fenomeno
degli stigmatizzati. È interessante notare che prima di san
Francesco, dunque prima della svolta culturale sopra accennata, in
Occidente non è mai esistito alcun santo stigmatizzato né mai è
esistito in Oriente. Questo fa fortemente pensare che questo genere
di devozione abbia un risvolto psicologistico di non poco conto sul
quale è bene riflettere.
La devozione
ai dolori ben presto ha coinvolto pure la Madre di Dio nella famosa
iconografia della Vergine con il cuore trapassato da sette spade.
Quest'iconografia si spiega bene in ambito latino, in cui si ha
esasperato l'attenzione al dolore, ma non si spiega affatto in ambito
bizantino e ortodosso in cui questa esasperazione non è mai esistita
e non ha senso. Ciononostante nel mondo slavo sono entrate le "Icone
della Vergine dai sette dolori" su evidente influenza pietistica
occidentale.
(2) Devo
purtroppo constatare che certe chiese ortodosse slave, essendo state
influenzate dal pietismo occidentale gesuita in epoca barocca,
tendono ancor oggi ad avere un atteggiamento impositivo e moralmente
ricattatorio. Si tratta, pastoralmente parlando, di un atteggiamento
quanto mai fallimentare, soprattutto, nel nostro mondo occidentale.
Mi è stato raccontato il fatto di un signore che fu severamente
rampognato per essersi comunicato perché, ad un certo momento a
causa di un riflesso condizionato da lui non voluto ha iniziato a
tossire. Fu sgridato severamente: non doveva comunicarsi in quanto
malato poiché se avesse sputato un frammento di eucarestia avrebbe
fatto un pesante peccato mortale. A parte il fatto che questo
problema non era certamente voluto, qundi non ci sarebbe stata alcuna
"colpa" morale, a questo punto gli ortodossi non dovrebbero
neppure comunicare i bambini piccoli che spesso, nel momento di
assumere l'eucarestia dal cucchiaio, fanno i capricci e possono
iniziare a sputarla. Si tratta, come abbiamo osservato, di
un'esagerazione pietistica con annesso terrorismo spirituale. Ora,
queste mentalità rigide incapaci di osservare i casi umani non
appartengono assolutamente al mondo bizantino, nonostante certe
chiese ortodosse se ne sentano eredi, ma al pietismo barocco
occidentale che ha influenzato, dove poteva, anche l'Oriente
permanendo ancor oggi. Nei casi estremi si tratta né più né meno
che di atteggiamenti settari.