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giovedì 23 aprile 2015

La chiesa e la persona: una relazione, un rimando continuo e reciproco

Processione con le reliquie da inserire sotto l'altare,
nella cerimonia di consacrazione della chiesa secondo il Pontificale romane del 1962.

Questo post continua da quello precedente.
Abbiamo visto che nulla, per quanto riguarda la Rivelazione  affidata alla Chiesa, è senza conseguene o rapporti con la vita personale.

La letteratura dei Padri unisce gli eventi salvifici con ogni istante della vita dei fedeli lungo la storia. Nulla è astratto e lontano da noi, ancor meno lo stesso edificio ecclesiastico. Al contrario, tutto oggi ha concorso a farcelo divenire.

Ho voluto mettere a disposizione (solo in visione, non è possibile né ottenere il file pdf né stamparlo), il testo completo latino/italiano della consacrazione della chiesa, secondo il Pontificale romano del 1962.

Scorrendo questo testo, si noterà le diverse parti con cui si eseguiva (e oggi assai raramente si esegue) il rito di consacrazione.

In linea di massima, ha diverse somiglianze con quanto avviene nell'Oriente bizantino, quando si consacra un tempio.
Perciò questo rito attrae molto il mio interesse. Invece, sono un  po' perplesso sullo stile con cui si commentano le varie parti perché mi sembra come l'esposizione di un teorema di matematica in cui non resta che convenire razionalemente e non ci si sente "presi dentro" dal mistero se non da un punto di vista quasi unicamente razionale.

Lo stesso rito è stato seguito per consacrare la chiesa del seminario svizzero di Ecône. Esiste un filmanto (qui) in cui il liturgista, spiegando i vari momenti della cerimonia, assume lo stesso modo di argomentare.
Parlando delle reliquie dei martiri che verranno sepolte sotto l'altare dice pressapoco:
«Queste reliquie appartengono a chi ha confessato Cristo e, siccome l'altare rappresenta Cristo, esse sono seppellite sotto di esso».
Tutto vero, ma che modo freddo di dire le cose! È come se dicessi: "Siccome 1+1=2 e 2+1=3, allora 1+1+1=3".

Nella prospettiva patristica è tutta un'altra musica! Ne posso dare un'idea con quest'altro discorso: il corpo del martire è divenuto Cristo, ossia la sua materia conosce un arresto della legge della decandenza e della corruzione. Le sante reliquie non si decompongono. L'altare-Cristo destinato a conservare questo germe della Resurrezione, riceve la forza dalla grazia che tocca le reliquie. La sua ara, in qualche modo, compartecipa e trasmette attraverso la sua materia, al mistero di questa morte salfivica dei martiri alla quale comunichiamo anche noi nell'Eucarestia che sta a contatto di quell'altare. Ecco perché l'Eucarestia ha bisogno dell'altare di pietra e l'altare di pietra ha bisogno delle reliquie. 

Avviene come un moto circolare che si chiude nel momento in cui partecipiamo al pane e al vino eucaristici. Il moto, infatti, è finalizzato alla comunione dei fedeli! Tutto nella chiesa è finalizzato alla trasformazione dei fedeli.

In questo discorso, è messo in moto un insieme di forze che coinvolge materia e spirito e unisce gli eventi salvifici dei martiri con i quali innestiamo la nostra stessa vita in Cristo partecipando all'Eucarestia.

Eucarestia, resti mortali dei martiri (oramai segno discreto di vita) fanno, in un certo senso, un tutt'uno con l'altare, uno rafforza l'altro, per coinvolgere come in una spirale la nostra stessa vita in tale mistero simbolico e reale allo stesso tempo.

Qui non è più una "teoria logica", un' "algebra sacra" che può nutrire al più la nostra sete di razionalità. Qui è infinitamente di più.

La spiegazione del sacerdote di Ecône è come chi traccia un teorema astratto, spiegazione per alcuni forse opportuna e comprensibile ma a mio avviso insufficiente. Purtroppo senza volerlo, egli ci lascia estranei perché i concetti da lui pronunciati possono stare in piedi anche senza di noi, come se non fossero finalizzati a noi! Tutto si esaurisce tra il simbolo dell' altare-Cristo e la reliquia del martire che testimonia Cristo. Sembra un oggettivismo che ha quasi paura di "sporcarsi" con l'umano: i fedeli sono solo pregati di ammirare in silenzio!

Argomentare in questo modo, per quanto ha una sua forza razionale, apre senza volerlo delle fessure, ha delle carenze. È proprio attraverso tali fessure-carenze che è penetrata la destrutturazione del rito latino e lo smottamento delle basi ecclesiastiche in molte realtà cattoliche. Attraverso le sue carenze il tomismo è stato disinstallato dal pensiero cattolico e non è stato sostituito da nulla di più profondo.

Pian piano i lettori forse iniziano a intravvedere e a capire la differente impostazione tra una prospettiva molto razionale ma fredda e una prospettiva che s'ispira allo stile dei Padri, decidamente calda e concreta. 

Recuperare una liturgia tradizionale senza recuperare la mentalità dei Padri che l'hanno sostanzialmente generata, significa, a mio avviso, muoversi ancora sulla superfice dei testi e dei significati sottesi ai simboli e ai gesti liturgici.

Questo mi spiega quel senso di poca profondità che ho sempre sentito leggendo anche opere molto interessanti sulla liturgia o operette dal carattere divulgativo.


Emblematico è l'esempio di un'opera di dom Gerard Calvet: La sainte liturgie par un moine bénédictin.
In quest'opera la liturgia è presentata un po' come in questo blog (che s'ispira alle mistagogie patristiche) ma non giunge alle medesime conclusioni e si ferma molto prima, dando un'impressione d'incompiutezza.
Purtroppo una liturgia tradizionale senza la profonda lettura che ne davano i Padri, senza quel coinvolgimento profondo (che non è solo il semplice obbligo ad una coerenza morale!), è un lavoro lasciato a metà. 

mercoledì 15 aprile 2015

Sul dovere di seguire la Tradizione



I post precedenti mi hanno ampiamente dimostrato che non è assolutamente facile esporre certi temi. Oggi più che mai non è scontato nulla, neppure l'ABC del Cristianesimo!

Ricevere certe risposte non mi ha reso felice e questo non per un motivo personale ma per aver visto una volta di più la lontananza di molti dalle cose essenziali.
Il mio blog è visitato prevalentemente da persone con una sensibilità cristiana tradizionale, in grandissima parte da cattolici. C'è poi qualche persona in sincera ricerca di fede o che si pone delle serie domande. Qualcuno, ma si tratta di numeri irrisori, riesce a capire quanto sto dicendo e non mi equivoca mettendomi in un facile ma assurdo schema di contrapposizioni.

D'altronde il blog è nato cercando di cogliere i lati comuni tra Oriente e Occidente, dal punto di vista liturgico, e non inizierò certamente ora a cambiare stile.

Esaminare la liturgia impone sia da parte di chi scrive, sia da parte di chi legge, una visione un poco profonda.
Ci sono fin troppi libri con noiosissime informazioni religiose generiche. Anche il web ne è pieno

Perché la liturgia è stata stabilita in un certo modo, cosa c'era sotto, che uomini lo hanno voluto, sono domande sulle quali dobbiamo sempre tornare.

E, come ogni cosa stabilita su questa terra da mano umana, inizieremo a intuire il “tipo” di uomini che ci stavano dietro. Soprattutto inizieremo a capire la loro mentalità, qual'era lo stile di questo Cristianesimo.

Uso il verbo al passato non per disprezzare il presente ma per indicare che è con il passato che il cristiano si deve sempre confrontare per non creare rotture e rimanere nella continuità (cosa tutt'altro che scontata o data magicamente una volta per tutte!).

Ora, questo metodo non è automaticamente osservato e non lo è affatto neppure tra chi crede di essere “tradizionalista”.

“Vogliamo la santa Messa di sempre”, gridano a gran voce alcuni cattolici nel web. “La nostra è una liturgia antica di cui andiamo fieri”, affermano alcuni cristiani-ortodossi. Ebbene, i tempi sono tali che spesso sia i primi che i secondi non riescono ad infrangere la pura forma o superficialità. L'Occidente ha fatto coriandoli delle sue tradizioni, l'Oriente no ma entrambi sono diffusamente malati di superficialità.

Riguardo ai secondi, una volta un docente mi invitò a presentare ad una scolaresca il significato di un edificio cultuale ortodosso. Mi fece contemporaneamente conoscere una ragazza (forse moldavo-ortodossa) tra gli allievi di quella classe. Feci la mia esposizione e ci riuscii così bene che tutti i ragazzi ne furono affascinati. Con mia sorpresa non notai il medesimo risultato nella ragazza ortodossa che sembrò addirittura indisposta. Mi chiesi: che educazione religiosa avrà ricevuto? In cosa realmente credeva? Perché si sentiva infastidita della mia interpretazione che seguiva, seppur assai semplificata, quella della Mistagogia di Massimo il Confessore? Anche in Oriente possono, dunque, esserci cristiani che, come forse questa ragazza, sono lontani dall'essenziale e adagiati su una certa formalità. Potrei fare altri esempi...

I cattolici a loro volta si adattano in gran parte ad una visione che, francamente parlando, è molto insoddisfacente. Nei post scorsi l'ho notato ed è solo questo ad aver creato una grande incomprensione tra me e chi non capiva le mie tematiche. Perché è insoddisfacente tale visione? Perché la cosiddetta prospettiva “spirituale” sfugge o è mal compresa. Perché il modo di concepire l'uomo in alcuni non appartiene al Cristianesimo (lo vediamo dalle risposte ricevute).
Nonostante tutto, tali persone hanno un attaccamento alla liturgia tradizionale.

Passi il paragone: è come se io fossi affezionato ad una bella automobile ma, di fatto, non la sapessi utilizzare per viaggiare.

Per prendere vantaggio della liturgia non è solo necessario parteciparvi ma trovare il modo di esserci nelle condizioni migliori.
Questo non comporta solo una conoscenza banale dei testi, una partecipazione formale o esteriore, una adesione a semplici dettami morali, ma un lavoro interiore, quindi spirituale che comporta una vera e propria fatica corporale: non si può credere di pregare davvero standosene comodi su una poltrona, ripeteva qualche asceta recente.

Se è vero che nella liturgia sono coinvolte tutte le facoltà dell'uomo (il corpo con i suoi sensi, una certa comprensione razionale) è molto più vero che la sua funzione profonda è quella di attivare l'interiorità umana, altrimenti chiamata spirito con la quale s'intuisce il mondo spirituale al di là dei sensi e della nostra piccola ratio.

Ma ecco la meraviglia: affermare ciò con l'invito a staccarsi dalla formalità e dal piacere esteriore derivante dai sensi o dalla ratio, non è assolutamente capito ed è pure fieramente osteggiato!
Ebbene, qui è svigorito e sviato il senso profondo della liturgia stessa.

Al contrario, nella tradizione antica tutto ciò era chiaro come il sole.

Gregorio di Nissa ricorda che:

Colui nel cui palmo è contenuto tutto il cielo e nel cui pugno sono compresi la terra e il mare, ha reso l'uomo capace di Lui, tanto che abita nell'interiorità [= spirito] dell'uomo stesso. Per cui Gregorio lo ammonisce: “Come puoi ammirare i cieli, o uomo, quando guardi te stesso che sei più stabile di essi? Essi infatti passano mentre tu permani in eterno assieme a Colui che sempre è”.
L'uomo è visto da Gregorio come casa di Dio, per la vastità del suo spirito (*).

C'è da ricordare che se la liturgia ha la funzione di fare emergere la grazia della presenza divina nello spirito dell'uomo (= l'uomo è casa di Dio), illuminando la sua interiorità e facendogli vedere la sua grandezza, questo non potrà mai avvenire se l'uomo stesso assolutizza la sua realtà naturale così come sta e non si mette su un cammino di ascetica salita (per crucem ad lucem).

Avviene qualcosa di simile a chi si tuffa in piscina per imparare a nuotare. Fintanto che costui si attacca ai bordi della piscina non potrà mai capire che l'acqua lo sostiene. E l'acqua lo sostiene solo se l'uomo sa muovere il suo corpo in un determinato modo, faticandoci, senza irrigidirlo, altrimenti andrà a fondo come un sasso.

Gli antichi asceti cristiani, forniti di una concreta esperienza, sanno che se ci si rinchiude nella pura razionalità e nella pura sensibilità corporea assolutizzandoli, si rimarrà semplicemente attaccati al bordo della piscina e non si avrà mai una reale esperienza di nuoto, per riprendere il semplice esempio.
Padre Paisios del monte Athos, da poco canonizzato, vissuto santamente e conosciuto per i suoi oramai molti miracoli, diceva: "Bisogna mettere la testa nel frigo!", per indicare che la razionalità da un certo punto in poi deve tacere altrimenti si sovrapporrà all'interiorità e non la farà parlare, come gli allievi di una classe rumorosa si sovrappongono alla voce del maestro.
Passioni disordinate e pensieri vaganti (le immaginazioni dette anche logoismoi), sono come questi allievi chiassosi che impediscono al maestro di parlare. O c'è la loro voce o c'è la sua! E come la voce di tale maestro è tutt'altro che "eterea ed iperuranica" agli allievi diligenti che stanno in silenzio, così lo è la spiritualità vera a chi pratica l'ascesi.

Di qui nasce tutto un atteggiamento nell'affrontare la preghiera (spirituale, non psicologico!), nel vivere senza essere offuscati dalle passioni negative (poiché l'uomo naturale è malato e tende a sfuggire dal divino), nel tenere aperta la porta dell'interiorità affinché, quando Dio vorrà, essa possa venir purificata e trasfigurata.
In questa prospettiva i precetti morali non diverranno mai puro moralismo, come potranno rischiare di divenire se sganciati da tutto ciò, considerandoli, magari, "monete" per comperare il paradiso.

La liturgia è per tutto questo e invocare la tradizione liturgica dimenticandolo o sentendolo addirittura estraneo a se stessi e alla propria religiosità, dimostra palesemente la più drammatica delle lontananze dal fine essenziale del Cristianesimo: l'unione con il Divino.

Le forme liturgiche per quanto nobili e tradizionali non devono, infatti, essere assolutizzate e tanto meno idolatrate o viste per se stesse. Se non sono viste come un puro momento di passaggio, un semplice strumento, diventano feticci, cosa che di fatto oggi può ben accadere!

La liturgia è infatti come uno strumento da utilizzarsi in modo conveniente. Non ha senso amarla se, poi, non cambia la persona nel modo sopra esposto.

Spesso i cosiddetti tradizionalisti ripetono una frase comune all'Oriente: si deve seguire la tradizione!

Questo è giusto ma bisogna intenderlo bene perché la tradizione deve portare alle soglie dell'Ineffabile, dell'esperienza spirituale, non ad un semplice piacere estetico-affettivo che, alla fine, lascia il tempo che trova e, in quanto tale, si può trarre pure da un concerto di musica classica. 
La tradizione, in questa dimensione, si motiva per un motivo esclusivamente "carismatico" ("Aspirate ai carismi più alti!", ammoniva san Paolo), non per sostenere unicamente istituzioni umane (**).

Seguire la tradizione deve portare alle soglie del Cielo, non far ripiombare l'uomo sulla terra richiudendolo nella sua sola ratio o nel suo eudemonismo.

Viviamo in tempi in cui se non si gettano le radici in queste profondità, qualsiasi “santa intenzione” sarà divelta e svigorita. O si è cristiani in questo senso o non lo si è affatto e si sarà solo espressione di questo mondo secolare che, tra le sue vetrine, ama pure avere quelle religiose e tradizionaliste. La vetrina, però, non da alcuna vita né mai l'ha data ad alcuno: è pura apparenza.

Nota

(*) Voce “Antropologia”, L.F. Mateo-Seco – G. Maspero, “Gregorio di Nissa – Dizionario”, Cittanuova, Roma 2007, p. 82.

(**) Aver sostituito il "carisma" in senso paolino con semplici realtà istituzionali è, invece, una radicata tendenza nel Cristianesimo attuale. Il Cielo è dunque sostituito dalla terra, lo Spirito dall' homo religiosus, sentimentale e/o razionalista. La pietra stabile di fondamento della fede, che può sussistere nel cuore di ogni uomo che vive il "carisma", è vista come qualcosa di esteriore a se stessi e di puramente istituzionale. Chi vive in questo stato, invece di volgersi alla sua interiorità, come avveniva anticamente, è continuamente proiettato nella molteplicità della contingenza che lo disperde e lo allontana dal vero essenziale.
Ricordo, alla fine, che ciò avviene specialmente nel clericalismo, ossia in una visione secolarizzata e orizzontale di Chiesa. Sul clericalismo mi sono trattenuto qualche mese fa in questo blog.